lunedì 28 settembre 2009

POST TV

COSE BELLE:

- Il quadro di Andrea Moz Mozzato (Officina Infernale per i blogger) che vedete qui sopra, che troneggiava gagliardissimo alla mostra allestita allo Spazio Paraggi di Treviso. Purtroppo la mia digitale non rende giustizia ai colori e all’impatto della tela. Se avevo con me il libretto degli assegni l’avrei comprato seduta stante. Sì, è ufficiale: sono un feticista delle opere di Moz.

- La festa delle medie al locale Eden, di cui posseggo solo foto scurissime praticamente illeggibili, ma, fidatevi, è stata divertente e spumeggiante come l’anno scorso. Gran buffé, grandi vini, grandi vip, grandi gag. E ho pure vinto la sfida con Ponticelli sul primato cronologico di crossover rock/rap, una volta rimediato un’i.phone tra i presenti e cliccato su wikipedia: vince il mio “Walk This Way” degli Aerosmith/Run DMC (’86) contro il suo “Bring the Noise” degli Anthrax/Public Enemy (’91)

- La conferenza stampa sulle “Città Future” tenutasi domenica mattina in una sala della camera di commercio con un Paolo Ongaro in formissima tra il pubblico, il vero mattatore del dibattito, tra brevetti di macchine del caffè e Beethoven neonati (troppo lungo e bello da spiegare tutto, chi c’era c’era)

- La vittoria del barbuto e muscolosissimo Matteo Scalera che ha tenuto alta la bandiera di Renoir come autore rivelazione dell’anno per “Hyperkinetic”, ex-equo col bravo Francesco Mortarino per “Dead Nation” (Edizioni BD)

- La vittoria di “A Skeleton Story” (GG Studio) del fichissimo duo Rak&Scop come miglior serie italiana!

- E, last but not least, “Blatta” come miglior fumetto italiano. Una vittoria tanto meritata da esser scontata, per quel che mi riguarda. Una vittoria che ha subito dopo costretto l’autore a una session di dediche da tre ore con interviste audio/video prima, durante, dopo, e infine costretto me e Giustina, in quanto auto-dipendenti dal medesimo, a strapparlo di peso alla folla di groupies urlanti e sudate (in verità alcune erano cos-player che avevano sbagliato strada). Ma d’altronde Ponticelli è ormai il nuovo, e unico, Albertone nazionale e tutti è giusto che ne abbiano un pezzo.

- In realtà è stato tutto bello, eventi, amici e colleghi. Parlare di film polar e anime con una discreta disinvoltura insieme a Perissi “the movie free enciclopedia” Massimo, di combattimenti di galli con Gianluca Maconi, di “cosa faresti se fossi multimiliardario” con gli amici della festa delle medie (io, personalmente, estinguere il Dodo mangiandone alla griglia gli ultimi esemplari e costruirmi uno skatepark nel giardino), ecc… So che si dice sempre così in questi casi ma è vero. Anche perché questo mi permette di sparare la seconda parte, a-ah!

COSE BRUTTE:

- Non ho vinto…proprio io che amo vincere!

Scherzi a parte (però davvero sono dispiaciuto per me, sarei falso a dire il contrario), il titolo di miglior sceneggiatore italiano è andato Marco Rizzo per “Peppino Impastato” (BeccoGiallo). Non l’ho letto ma, a prescindere, sono sinceramente contento che quella storia e quel personaggio abbia la visibilità che si merita (soprattutto dopo i recenti fattacci di Bergamo). Sarei falso a dire il contrario, credetemi. Quindi complimenti a Marco e a BeccoGiallo.

Un PERO’ me lo permetto, dopo due anni di nomination come migliore sceneggiatore al premio Carlo Boscarato. L’anno scorso vinse Luca Vanzanella con “Luigi Tenco” (BeccoGiallo) e nel 2007 Giovanni Di Gregorio con “Brancaccio” (BeccoGiallo). Il primo non l’ho (ancora) letto e il secondo non solo l’ho letto ma l’ho apprezzato molto: Di Gregorio e Claudio Stassi hanno fatto un ottimo lavoro, e non lo dico solo perché li stimo a prescindere, ma perché “Brancaccio” è un’opera che merita l’acquisto e la lettura.
Bravura, tecnica, autorialità e impegno non sono in discussione, dunque.

Mi chiedo solo questo: perché ogni tanto non premiare anche storie non esplicitamente realistiche? Storie “metaforiche”, per capirci, storie cioè che non fanno diretto riferimento a fatti/luoghi/persone noti,importanti,imprescindibili ma che veicolano comunque gli stessi o altri messaggi di pari impegno, pari valore, pari interesse, solo che lo fanno attraverso la fiction? Perché temere (un parolone che ha l’unico scopo di destare l’attenzione del lettore) l’intrattenimento che è proprio del fumetto (come del cinema, della letteratura…) anche quando sotto la sua dura scorza di genere cela, a volte impli- e a volte espli-citamente, valori, messaggi, ideali, chiamateli come volete, che tanto ci piacciono?

Io amo anche e molto il fumetto, la letteratura e il cinema impegnato, amo il “Gomorra” di Saviano (come lo splendido recente “La bellezza e l’inferno”) e il “Gomorra” di Garrone, tanto che l’anno scorso ho esultato per Cannes (mi è testimone un post). Ma perché non aver premiato con altrettanto fervore i precedenti capolavori di Garrone (tanto per restare sul pezzo) “L’imbalsamatore” (soprattutto) e “Primo Amore”? Anche “L’imbalsamatore” parlava di malavita, ma lo faceva in punta di piedi, teneva la tremenda faccenda dello spaccio-di-droga-attraverso-i-corpi-dei-cadaveri come sfondo di una storia d’amore straziante, grottesca e sbagliata (chi l’ha visto sa di cosa parlo), una vicenda anonima, inventata, DI GENERE, eccome, ma tanto potente da far esplodere tutta la tragicità e di sé stessa e dell’ambiente (malavitoso, appunto) in cui è nata e cresciuta.

Amo l’Impegno, dicevo, ma quando creo, quando mi metto davanti al pc e so che quello che scriverò verrà letto da qualcuno, penso contemporaneamente a due cose:
1- Come intrattenere il lettore
2- Come spiegargli quello che ho da dire

Perché se non riesco a portare il mio lettore fino all’ultima pagina mi posso anche scordare di spiegargli qualunque concetto profondo avessi in mente. E visto che per scelta personale non uso nomi/fatti/luoghi già noti, devo per forza INTRATTENERE con un giallo, un thriller, un horror, un action, un fantasy…c’è solo l’imbarazzo della scelta. È non è frustrante, mi piace un sacco.
Anche perché, parere personalissimo, son sempre più convinto che un messaggio veicolato attraverso una storia “neutra”, priva di sovrastrutture politic-social-religios-ecc, arrivi più facilmente a TUTTI i lettori, senza pregiudizi.

Insomma, si può trattare di tutto col nostro splendido mezzo sequenziale. Io non riesco a rinunciare alla cara vecchia scorza di Genere che tanto mi ha dato e tanto da, credo, al mio lettore. Sarebbe bello un giorno esser premiati per questo......(e sì, come se avessi partecipato a mille concorsi e facessi questo lavoro da decenni…è che volevo chiudere il post in maniera tragicomica. Un po’ di sano intrattenimento, sù)

giovedì 24 settembre 2009

3VISO

Ok, si va Treviso!
Fiere, mostre, premi e sprizz come se piovesse!

Questo il programma: PROGRAMMA
Queste le nomination al Premio Carlo Boscarato: NOMINATION
Ehi, ma...ci sono anch'io! pazzesco...

Sabato pomeriggio in fiera, sabato sera alla festa delle medie (aperitivi e tartine nello scantinato del bar, come l'anno scorso, speriamo, il vero motivo per cui tutti si va a Treviso!), domenica mattina ritiro il premio e lunedì gran reportage fotografico.

PS: l'illustrazione sopra è del Ponticelli nazionale, manifesto della fiera, tema "Città Future".

venerdì 18 settembre 2009

COSE PICCOLE

WARNING: contiene riflessioni personali sull’Esistenza ed è un pò lungo.
“Mi mancano cose come perdermi in un mercatino dell’usato per cercare un disco introvabile…e quando lo trovavo mi sentivo al settimo cielo.”
Questo diceva Cobain pochi mesi prima di spararsi in faccia. Non giustifica quella fine né lo rende il guru di chissà chi, chissà cosa. Il problema è che, nolente e nolente (non è un errore), Kurt fu portato su un piedistallo quando stava meglio in un pozzo.

Ma non è di lui che voglio parlare. La foto è solo per attirare l’attenzione.

Quest’estate stavo vedendo l’ennesima commemorazione dell’ex-Nirvana (in realtà era uno speciale sul rock diviso in puntate cronologico/tematiche e quella sul grunge si è ineluttabilmente trasformata in una monografia di Kurt Cobain) quando fui colpito da quella frase. E dall’espressione rassegnata e tristissima del 27enne che la pronunciava durante una delle tante interviste di routine. Era un tossico molto vicino allo stadio terminale, d’accordo, ma era tremendamente sincero. Una frase piccola, insignificante di per sé, una frase del cazzo che va a sommarsi alle migliaia di altre che i media recuperano/estorcono da/a star ormai putrefatte per rimetterle insieme come mostri di frankenstein mediatici e darcele in pasto con puntualissima cadenza annuale. Abbiamo bisogno di icone, evidentemente.

Ma perché quella frase mi ha colpito? Perché è stato uno dei tanti segnali.
Perché è arrivata nel bel mezzo di una mia introversissima riflessione personale che va avanti da qualche mese, e ora si è conclusa, su: rock, rock anni ’70, musica attuale, film belli, film brutti, copiare, scaricare, comprare, leggere, scrivere, background, allievi della Scuola del Fumetto, esami di fine anno della Scuola del Fumetto.
Rappresentando le sopracitate voci più o meno il 90% di ciò che vivo e respiro (escluso l’Ammore, ovvio), di ciò che sono e sono diventato, posso concludere che questa è una riflessione personale sulla Mia Vita: Chi sono, Cosa faccio e Perché lo faccio.
(sicuramente anche la lettura di “Alta Fedeltà” di Hornby c’entra qualcosa)

- Sono un lettore di fumetti e narrativa in genere, un ascoltatore di rock a 360°, uno spettatore di film a 720°, un mediocre giocatore di videogames e un ciclista della domenica (sabato, per la precisione).
- Faccio lo sceneggiatore di fumetti per vivere, cioè invento storie e poi le scrivo seguendo una struttura tecnica grazie alla quale dei disegnatori le rappresenteranno infine in forma di fumetto.
- Lo faccio perché sono fortunato, ok, ma anche perché ho tanta fantasia E ho letto, visto, giocato, ascoltato un sacco di roba, e continuo a farlo.

A 14 anni ascoltavo gli Iron Maiden i cui testi erano citati in Dylan Dog che aveva appeso nello studio il poster del Rocky Horror Picture Show. Che bello, tutto tornava! Che bello, non ero solo!
Leggere, vedere, ascoltare tutta quella roba in quel fantastico cortocircuito di citazioni incrociate, parallele, analogiche, volontarie e involontarie, credo sia stato il succo della mia vita. Un succo che mi ha così tanto nutrito mentalmente da permettermi poi di nutrirmi materialmente.

La cosa che mi ha spaventato in questi mesi e condotto a questa riflessione è proprio quest’uso terribilmente disinvolto del passato quando mi riferisco al mio Succo. Oddio, e quindi adesso non mi ci nutro più?! Ho esaurito tutti i fumetti, libri, film, musica che mi ispirano e mi fanno scrivere e mi consolano e mi divertono e mi fanno riflettere e mi gasano e in pratica mi tengono in vita?! Che sta succedendo?!

Mi sta(va) succedendo quello che portò Cobain al suicidio: quando puoi avere tutto non ti godi più niente. Nel suo caso la colpa erano Soldi e Successo, nel mio (come per molti altri comuni mortali) Mulo Elettronico e Pigrizia, che vanno così d’accordo da scambiarsi continuamente i ruoli di Causa ed Effetto.
Fortunatamente sono un po’ meno sensibile e fuori di testa di Cobain, quindi sono ancora vivo.

Ci sono stati vari segnali, soprattutto quest’estate, che mi hanno fatto riflettere e poi capire cosa mi mancava. Non era l’Oriente né un’amante. Era molto più semplice. Mi mancava la conquista delle cose che mi piacciono. Entrare in quel maledetto mercatino dell’usato e trovare proprio quel disco che stavi cercando. Non necessariamente una rarità o un’edizione particolare. Semplicemente quello.

È il Mulo che mi ha reso sterile. Per quanto sia sempre stato contrario allo skarico selvaggio, per quanto abbia sempre optato per uno skarico “intelligente” (rubare ai ricchi, in pratica), per quanto la natura stessa del mio lavoro mi imponga una certa etica a riguardo, per quanto bla bla bla…non sono un santo.
Il problema è questo: perché avere d’un botto tutti gli album dei Muse non me li ha fatti apprezzare come invece avrei creduto? Forse perché andavano ascoltati con più calma, centellinati. Forse semplicemente non mi piacciono e basta.
No, la verità è che non me li sono conquistati (che poi fa rima con centellinati, apprezzati, goduti, ecc…). Tutto qui. Poi magari non mi sarebbero comunque piaciuti, ma non è questo il punto.

Un altro dei segnali di cui sopra, forse il più significativo, l’ho sentito a fine agosto in quel di Amboise, cittadina della Loira famosa per il suo castello e il parco di Leonardo da Vinci. La mia Sara, attratta da vestitini simil-etnici a pochi euro esposti in un negozietto della via turistica della cittadina in questione, si fiondò nel negozio medesimo e cominciò a guardarsi in giro. Io, come sempre, la seguii controvoglia. Un po’ perché sono un maschio e non mi interessano certo i vestiti da femmina, un po’ perché sono un maschio e devo fare la parte del marito scocciato per la moglie spendacciona (quando in realtà lei guadagna come me e forse spende meno in cazzate…adorate cazzate). Ebbene le casse del piccolo stereo diffondevano nel negozio un rock-blues bellissimo, ruvido e tecnico allo stesso tempo…si sente che è old ma ha un piglio così moderno che mi fa quasi dubitare dell’autenticità 70’s di quel sound…roba da farmi dimenticare le cose che passano ora su Virgin Radio e RockTv alle quali non dico vorrei affezionarmi ma almeno avvicinarmi anche solo per conoscenza, giusto per tenermi informato sul rock e metal degli anni ’00 senza dover sempre tornare ai miti del passato…ma questo rock-blues, caspita…no, no, mi spiace, niente a che vedere con la merda di oggi, non c’è paragone, questa è musica, questo è ciò che voglio ascoltare…ma chi sono? li conosco? eppure quella batteria, quella voce…cazzo, sì, io li conosco! Quello è Robert Plant! Chiedo giusto conferma alla tipa del negozio nel mio perfetto francese e lei, appunto, conferma mostrandomi il cd originale: Led Zeppelin I, “How Many More Times”, l’ultima traccia. 1969. Alla faccia dei 70’s. E perché non la conoscevo quella canzone? Io amo gli Zeppelin, sono cresciuto (anche) con loro, ho tutto dei Led Zeppelin…no, non è vero. Avevo un paio di cassette registrate che non ho quasi mai ascoltato causa avvento del compact disc e conseguente acquisto della doppia antologia “Remasters”. Non ho mai avuto la discografia completa di una delle migliori band dell’universo e così mi sono perso quell’ultima traccia semisconosciuta del loro primo disco. Ho ringraziato la tipa del negozio per avermi mostrato il cd e mia moglie per i suoi gusti in fatto di vestiti (continua così!).

E così questa settimana ero a Milano nella commissione d’esame della Scuola del Fumetto (davo voti e giudizi ai lavori, nella fattispecie fumetti, degli alunni di fine triennio) e ho potuto fare una puntatina nel mio negozio di dischi usati preferiti per cercare il primo album dei Led Zeppelin (che anche se sono famosi trovi soprattutto antologie, best of, inediti, ecc…e invece io volevo, pensa un po’, semplicemente il primo disco). Era un po’ che non entravo in quel negozio a CERCARE. E l’ho trovato, il primo album dei Led Zeppelin. E indovinate? Mi sono sentito al settimo cielo. Proprio come quando avevo 15 anni e per trovare “From enslavement to obliteration” dei Napalm Death dovevo farmi 2 ore di treno A/R Milano perché da me in provincia era tanto se trovavi un greatest degli Scorpions, ma poi una volta a casa, dopo un pomeriggio passato nella metropoli, dopo tutta quell’attesa sul treno per ritornare dal tuo stereo, quando finalmente mettevi su il disco (cassetta, nel mio caso)…bè, ti godevi davvero ogni traccia.

Insomma, meno male che non sono una rockstar di successo e posso andare nei mercatini dell’usato. Ora finalmente ho una nuova meta da raggiungere: trovare e compare tutti gli album dei Led Zeppelin in ordine cronologico. Ho sempre fatto così con le band che poi sono diventate imprescindibili per me. Perché non lo faccio più? E non solo nella musica: mi vanto di essere stato uno dei pochi (credo) ad aver visto “Le Iene” nel ’93 e poi aver aspettato con un’ansia soprannaturale l’arrivo di "Pulp Fiction" al cinema. Non è tardi per ricominciare a conquistarsi le cose, dai.

Altro segnale: “Point Break”, il mio film preferito della Bigelow. Ma perché preferito? Cosa mi piacque così tanto allora? L’azione? Il surf? Perché non l’ho più rivisto? Detto, fatto: lo davano su sky quel pomeriggio di inizio settembre che ancora lavoravo solo 6 ore al giorno, dovevo ri-carburare, già, e quindi potevo anche permettermi di piazzarmi davanti alla tv per l’ora stabilita e…dio, che film “Point Break”! Rapinatori di banche che hanno bisogno di soldi per continuare a fare surf spostandosi da una costa all’altra del mondo inseguendo un’estate perenne…ma può un film entrato negli annali dei blockbuster action basarsi su un concetto così romantico? Ecco perché mi era così piaciuto 15 anni fa. Invece di scaricarmi i GI-Joe mi sono riconquistato “Point Break”.

Altro segnale: un articolo di Tommaso La Branca su FilmTV che commemorava la morte di Fernanda Pivano, ma non voglio dilungarmi, che già lo sto facendo contro la mia volontà.

Io sono un conquistatore di fumetti, libri, film, cd. Sempre lo sono stato e sempre lo sarò.

È questo che purtroppo manca in alcuni neo-diplomati fumettisti che ho avuto modo di analizzare e giudicare, loro e le loro opere (ultimo e definitivo segnale della mia riflessione). Spesso non manca il talento, né la tecnica: manca il background. La passione, se volete, quella passione che costruisci pian piano, che ti entra sotto pelle, che ti conquisti fumetto dopo fumetto, libro dopo libro, film dopo film.
Cioè, cosa ti spinge a iscriverti in una scuola di fumetto se prima di tutto non sei TU stesso un divoratore di fumetti? La voglia di esprimersi, di disegnare, di scrivere…certo. Tutte cose nobili e valide. Ma chissà perché i lavori migliori che ho avuto il (sincero) piacere di leggere e giudicare erano scritti e disegnati da chi non riesce a vivere senza leggere, guardare, ascoltare tutto quello che è il suo pane quotidiano. Il Succo della sua vita.

Eppure siamo nell’era di Internet, tutto è a portata di mano, tutti possono leggere, guardare, ascoltare quello che vogliono in qualunque momento lo vogliano. E molti lo fanno. Ma il problema non è questo. Non è la possibilità di acquisire dati. Ben venga. Che fortuna. Il problema è il COME. Il problema è il Tutto e Subito. Il problema è accumulare giga di musica e film nel proprio pc e lasciarli marcire. Ne sono ormai totalmente convinto.

PS: e sì, sono anche un ciclista della domenica (sabato). Per l’esattezza sono uno scalatore. Amo ammazzarmi di fatica su salite assolate finché il sudore non mi offusca la vista e le cosce non mi fanno male. Amo sentire il cuore che pompa e il fiato che regge. Amo patire l’insopportabile calura dei 500 metri slm e poi il freddo bastardo dei 2.000. Amo soffrire sapendo che mancano ancora 6 km alla vetta con una pendenza media del 14%.
Perché?! Masochismo? Eroismo? Sport? Stupidità?
Sì, un po’ di tutto e un po’ di niente.
La verità è che lassù, in cima, non ho più metri da scalare né pedali su cui puntarmi. Ho solo una lunga discesa da fare col vento in faccia e le ali ai piedi. Solo lei e io.
E ogni singolo km orario che toccherò su quell’asfalto me lo sono conquistato con tutto me stesso.

lunedì 14 settembre 2009

COS'E'?!

E' un cane? No.
E' un leone? No.
E' una statuetta di terracotta? No.

E'......CLITO!

Divinità minore di origine sconosciuta, effettivamente fatto di terracotta (che lascia in giro quando cammina o si agita), vispo e abbaiante.
E' l'animaletto di compagnia di Venus, la quale lo vizia e coccola in maniera maniacale.
Un pò rompicoglioni, un pò deus ex machina.
Entra ed esce dal Tartaro, da qui l'annoso e irrisolto quesito: Clito è vivo o morto?


testi: Alex Crippa - disegni: Emanuele Tenderini

giovedì 10 settembre 2009

SONO STATO (ancora) NOMINATO

…al premio Carlo Boscarato 2009 come Miglior Sceneggiatore Italiano per “Jonah Martini” (ReNoir) !

Già l’anno scorso ero in lista per “Come un Cane” ma non vinsi. Quest’anno però ho qualche speranza: non ho più Ponticelli tra le palle! Fu lui, infatti, a tener alta la bandiera del Cagnazzo come miglior disegnatore del medesimo, ma ora è coinvolto in ben altre due categorie che non mi tangono (Autore Unico e Miglior Fumetto Italiano, entrambe per “Blatta”).

Son contento pure per gli amici di ReNoir, in gara loro stessi nella categoria Miglior Realtà Editoriale Italiana e col grande Matteo Scalera come Autore Rivelazione per “Hyperkinetic”.

E pure per il difformissimo Giorgio Santucci (Miglior Disegnatore per “FemDom”) col quale sarò in lista l’anno prossimo nella categoria Miglior Fumetto per “Gangs” (ho una sfera di cristallo sulla scrivania) e per Gianluca Maconi (Autore Completo per il suo entusiasmante “Monkey Business”) già mio complice su “Mediterranea” (GG Studio)…e per tanti altri che stimo e che si meritano premi e cotiglioni.

L’appuntamento è a Treviso il 26-27 settembre.
E, se non avete già sapientemente cliccato prima su “Carlo Boscarato 2009”, cliccate QUI per vedere tutte le nomination.

Ovvio che stavolta voglio vincere (bè, come l’anno scorso) ma mi piace scrivere aforismi come “sono in buona compagnia”, “che vinca il migliore”, ecc…anche se poi non li condivido.

Son sincero, abbiate pazienza.
È che dopo “Lie to Me” vivo nel terrore di essere scoperto a mentire anche attraverso la scrittura.
Aiuto.

PS che diavolo c’entra l’immagine d’apertura? Niente, è un curiosissimo e a tutt’oggi inspiegabile bug capitato al già citato G. Santucci la sera del 27 agosto quando sul suo pc all’home page di Repubblica gli apparve la copertina (francese) di Jonah abbinata a un articolo che ha ben poco a che fare col mio indagatore di miracoli…se non per una vaga somiglianza estetica con la posa dell’Albertone da Giussano (la spada tesa in aria). Caso? Complotto? Scherzo? Pc da buttare? Agli hacker l’ardua sentenza. (grazie Giorgio per il jpeg)

PPS certo che è buffa la scritta “torturate gli immigrati” accanto al mio eroe dai buoni sentimenti…aaah che ridere.

martedì 8 settembre 2009

LIE to ME

Ooooooooh…una nuova serie tv da seguire con lo stesso, se non superior, entusiasmo con cui ho seguito nell’annata ’08-‘09 la prima stagione di “Reaper” (la seconda delude un po’), “Dirty Sexy Money” (come il precedente), lo spassosissimo “30 Rock”, il nostrano “Romanzo Criminale” (capolavoro senza precedenti in Italia) e il recentissimo e fulminante “Flics” del maestro del polar Olivier “36 Quai des Orfevres” e “L’ultima missione” Marchal (4 episodi al fulmicotone ambientati in una Parigi dominata da criminali e poliziotti la cui moneta corrente è la corruzione e la morte violenta pura statistica).

“Lie to me” prosegue il trend serie-tv-con-star-del-cinema (vedi i Sutherland padre e figlio rispettivamente in “Dirty Sexy Money” e “24”, Alec Baldwin in “30 Rock”, Glenn Close in “The Shield”…) e vede l’immenso Tim Roth nei panni del dottor Lightman, un super esperto del linguaggio corporeo, quel non-verbale che tradisce anche il bluffatore più abile durante un interrogatorio.
Lightman NON è in grado di scoprire la verità in un caso di omicidio, stupro, furto, eccetera. Non direttamente. Lightman scopre con certezza assoluta se la persona che ha di fronte mente o no. Un’unica, semplice, competenza. E in questo è il migliore, ovvio.

Un accenno di sorriso ai lati della bocca, un movimento degli occhi, la posizione di una mano…il corpo mostra esattamente “ciò che proviamo” e per questo è spesso in contrasto con “ciò che diciamo”. Perché la gente mente, quasi sempre: alla moglie, agli amici, sul lavoro…e durante un interrogatorio dell’FBI per nascondere i più orribili delitti.

Lightman e i suoi fedelissimi sono una sorta di agenzia freelance che di volta in volta presta servizio allo Stato, all’Esercito, all’FBI, ovunque serva far luce su un caso che abbia anche solo un minimo e quasi trascurabile barlume di dubbio. Lightman dipana quel dubbio.
E se considerate che Lightman ha, appunto, la faccia di Tim Roth il gioco è fatto: candido “Lie to me” come miglior serie tv della stagione a venire, in una mia personalissima ed esclusivissima classifica personale. E ho visto solo due puntate! Quelle date ieri sera su Fox. Letteralmente divorate.

Anzi, mi sbilancio. “Lie to me” ha tutte le caratteristiche per diventare il nuovo Dottor House:
- protagonista eccentrico e scorretto il tanto che basta (perché ovviamente Lightman è il primo a mentire per scoprire se qualcuno mente!)
- comprimari all’altezza della tematica: un assistente trent’enne che dice sempre la verità anche quando è imbarazzantissima, una braccia destra buona che contrasta il suo lato cattivo, una novellina appena assunta che ha il dono naturale di leggere i volti della persone e che per questo suscita in Ligthman quell’atavico contrasto ammirazione-irritazione, lui che ha studiato per 20 anni i comportamenti di una tribù africana, lui scienziato del comportamento umano che viene quasi eguagliato da una sbarbatella senza laurea
- plot e sub-plot a incastro (detection principale e detection secondaria) per un ritmo notevole
- casi interessanti e, per quanto possibile dopo mezzo secolo di fiction, originali e poco prevedibili (e qui House gioca in vantaggio: è un po’ più semplice per lo spettatore dedurre l’assassino di un’insegnante di liceo piuttosto che la rarissima malattia congenita di un adolescente con visioni ed emorragie rettali, anche se sappiamo in partenza che non è mai il lupus)
- vita privata e passato del protagonista appena accennati ma già presagi di drammi sotterranei interessantissimi
- regia stilosa e, per quanto possibile dopo mezzo secolo di fiction, poco televisiva: sequenze raccontate dalle inquadrature di monitor di sicurezza, movimenti di macchina frequenti, montaggi analogici tra le espressioni degli indiziati sotto interrogatorio e le equivalenti di personaggi famosi e reali in casi noti (Tyson, Clinton, Saddam Hussein…)

Unico effetto collaterale indesiderato: non riuscirò più a guardare in faccia mia moglie, anch’essa fan da subito della serie in questione nonché attenta apprendista, e dirle “domenica a pranzo dai tuoi cugini? che bellooooo!” risultando credibile.

giovedì 3 settembre 2009

DIRTY LOVE

Jorg Buttgereit, Andreas Schnaas, Olaf Ittenbach…la nicchia della nicchia della nicchia.
Parliamo di gore estremo, indipendente, amatoriale. Quello a cui ti rivolgi, per intenderci, quando hai visto cose che voi umani non potete neanche immaginare…e hai comunque bisogno di rilanciare.

Tra la fine degli ’80 e gli inizi dei ’90 nacque la scuola ultra-gore tedesca capitanata dal sopraccitato Buttgereit, l’unico forse il cui nome dirà qualcosa a qualcuno. Un aiutino: suo il leggendario “Nekromantik” (’87) definito dal padrino del trash mr.John Waters “the first erotic-movie for necrofiliac”, e ho detto tutto (la scritta campeggiava sulla copertina della vhs quando aprii quel tanto agognato pacco arrivato dall’Olanda 12 anni fa…60mila lire di allora…qualità mediocre, probabilmente una copia…eeee quanti ricordi).

Poi arrivò Schnaas con la trilogia “Violent Shit” (il primo davvero ma davvero troppo amatoriale anche per i puristi più estremi, il terzo invece un vero un gioiellino di effettacci caserecci), Ittenbach coi suoi “Black Past” (notevole), “Premutos” (carino)…e insomma questo movimento underground si consolidava ma, come è giusto che sia per sua natura, restava appunto under ground.
Ho dovuto aprire una videoteca specializzata in horror e derivati a fine ’90 per procurarmi alcune di queste chicche (e-ho-detto-tutto).

Poi gli anni passano, i gusti cambiano, si perde un po’ il giro e alcune cose restano piacevoli ricordi. L’importante, credo, sia non rinnegare nulla del proprio passato…

…perché quando ritorna così brutalmente all’assalto delle tue retine hai solo due opzioni:

1- vade retro! ora sono un insegnante di cinema, non cago nulla sotto Altman!
2- figata! ho ancora 20anni nel 2009!

Ebbene, quando ho visto “Dirty Love” ho optato per la seconda.

Diretto da Patricio Valladares (il gore amatorial-extreme non solo è vivo ma ha espanso i propri confini territoriali), sceneggiato da Andrea Cavaletto (gentile fornitore del dvd) e prodotto da VallaStudio, “Dirty Love” è la storia di un fighissimo killer solitario che sembra Iggy Pop travestito da cow-boy (dove cacchio l’hanno trovato!?) e sembra il solito assassino sadico e brutale senza un movente che non sia quello di sollazzare il voyeurismo dello spettatore. Ma quando scopri che le sue vittime non sono solo ragazze carine che fuggono e inciampano in ogni buca dell’asfalto o del parquet cominci a farti delle domande, cosa davvero rara durante la visione di tali pellicole (è un modo di dire, son tutte girate in digitale…). Come ti domandi cosa ci fanno tutti quei trailer di altri film gore che continuano a interrompere la visione con altri personaggi, location, omicidi…e dato che trattasi di dvd amatoriale (senza offesa alcuna) viene da chiederti se hai sbagliato qualcosa quando hai fatto play nel menù principale…magari hai cliccato un'improbabile opzione “capitoli con trailer a random”…oppure hai cliccato “trailer” e stai solo vedendo una sequela di trailer tra cui, appunto, quello di “Dirty Love”…però Iggy Cow Pop continua a tornare…aaargh!!! Che succede?!

“Dirty Love” mi ha fatto capire due cose:

1- il gore non è morto ma è superbamente sopravvissuto come uno zombie infetto e purulento (tradotto: alcune scene sono davvero disturbanti)
2- anche un film gore può essere metalinguistico (sì, hai letto bene) alla faccia di Altman

I miei complimenti vanno quindi in particolare ad Andrea che ha giocato bene sui cliché del genere (trama semplice e dritta come un fuso, killer violento e sopra le righe, torture e omicidi ostentati e reiterati come gli assoli in un disco dei primi Morbid Angel) inserendo però quell’elemento metalinguistico che cambia radicalmente le carte in tavola, scombussola la storia e ti riempie la testa di tutte quelle domande che normalmente non sgorgano spontanee quando stai guardando un tizio che spacca il cranio a un altro tizio a colpi di teschio di toro (sic).

Mi è piaciuto molto questo contrasto tra il gore estremo, che comunque mi aspettavo, e l’idea di base che rende il tutto originale quel tanto da meritarsi una “recensione a modo mio”.
Idea che, ovviamente, non posso rivelare perché rovinerei la sorpresa a chiunque dovesse vedere il film in qualche festival o recuperarlo in qualsivoglia maniera.

Concludo con un pensiero profondo: a chiunque ritenga questo genere degradato, degradante e, nell’accezione più tecnica del termine, ignorante, ricordo che “Bad Taste” non solo è uno dei film più splatter della storia ma è anche il primo, amatorialissimo, film di un certo Peter Jackson, poi Leone d’Argento a Venezia per “Creature del Cielo” e pluripremiato agli Oscar per il suo “Signore degli Anelli” (ma potremmo citare anche Raimi, Cronnenberg…)

…e una frase ad effetto: il Gore è morto, viva il Gore!!!