mercoledì 3 ottobre 2012

BELLO / BRUTTO

BELLI
Breaking Bad. Colpo di fulmine. Dritto nella mia top 5 di serie tv preferite di sempre. Divorate le prime 4 stagioni, attendo con un’ansia insostenibile la 5° e ultima che chiuderà la serie l’anno prossimo. Dopo il Walter Bishop di Fringe, il mio nuovo Walter preferito fa White di cognome e mi piace pensarlo come il degno erede del Michael Douglas di “Un giorno di ordinaria follia”. Uomo qualunque, represso, famiglia sull’orlo di una crisi economica, insegnante frustrato di chimica nonché genio incompreso della medesima, trova la sua strada nel magico mondo dell’autoproduzione di metamfetamina. Tanti i pro quanti i contro, come ben sa ogni libero professionista. A complicare il tutto un cancro al cervello che a volte rientra nei contro e a volte, guarda un po’, nei pro. Ciliegiona sulla torta, a metà serie acquista un antagonista superlativo: Gustavo Fring, insospettabilissimo super boss della droga, semplicemente uno dei più bei cattivi mai apparsi su piccolo schermo.

The Big Bang Theory. Da anni ne sentivo parlare, da mesi le prime due stagioni giacevano sul mio comodino virtuale, da settimane ho cominciato a vederlo. Altro colpo di fulmine. Superata la mia idiosincrasia verso le risate registrate (nel mio governo immaginario sarebbero illegali) mi sono letteralmente innamorato di questa sit-com. E ho fatto un’interessante quanto inquietante scoperta: mi riconosco più o meno in tutti e quattro gli sfigatissimi geek protagonisti, in particolare Sheldon. Chi conosce la serie e conosce me probabilmente non vorrà più frequentarmi dopo questo outing. Con Sheldon, tengo a precisare, non condivido -ahimè- il superdotato Q.I. ma tutti gli sgradevoli rovesci di questa pesantissima medaglia, primo fra tutti l’ossessione compulsiva/soggettiva per l’ordine casalingo. Non raggiunge le vette di 30Rock né la genialità di qualsivoglia serie creata dal più grande comico britannico dopo i Monty Phyton, al secolo Ricky Gervais, ma mi terrà compagnia per lungo tempo, mi sa.

Uncharted 2. Sarò vecchio dentro, ma dopo il terzo Indiana Jones ho capito una cosa: il blockbuster d’avventura è morto con la ricerca del Sacro Graal. Hollywood non ha più saputo proporre una classica avventurona che tenesse incollati allo schermo per stupore ed emozione. Vani i tentativi con Brendan Fraser (…) tra mummie e centri della Terra, vani i cambi di look pirateschi e location caraibiche, pessimo il quarto Indy (giustamente “omaggiato” da South Park). Non parlo di incassi, ovviamente, ma di qualità. Sarà un problema legato al genere, forse troppo demodé e sfruttato. Come lo era il western negli anni ’60. Poi è arrivato Leone e l’ha semplicemente reinventato. In questi giorni ho capito che per l’Avventura non è un problema di contenuti né di stile, ma di mezzo: Uncharted 2 per PS3 è IL blockbuster d’avventura che aspettavo da anni. Un videogioco. L’Esplorazione è alla base dell’Avventura come lo è dell’Interattività: è l’uovo di Colombo, più semplice di così si muore. Mancava questo: esplorare ambientazioni esotiche e misteriose alla ricerca di tesori perduti, sfuggire ai cattivi in rocamboleschi inseguimenti su jeep, camion, treni, sparare ai medesimi per salvare la pelle, arrampicarsi su antiche rovine e montagne inesplorate… il tutto in PRIMA PERSONA. Senza limiti alle location vere e immaginarie, senza costrizioni temporali, senza farsi problemi se ammazzare o meno i cattivi. Perché Spielberg ci ha insegnato che in un film per famiglie si possono coniugare azione, umorismo e orrore, ma poi ha negato tutto ciò che l’ha reso famoso. Uncharted 2 unisce splendidamente adventure, platform, sparatutto, stealth. Ci fossero pure un paio di simulazioni di guida anche molto modeste (e le occasioni sono varie) sarebbe stato il videogioco perfetto. E invece è solo un 9 e mezzo. Complice pure una grafica allucinante e una fluidità di movimenti e gioco che rasentano la perfezione. Mi spiace per voi sfigati della x-box, ma Uncharted è una licenza esclusiva Sony. A-ah. Sì ok, ma adesso che l’ho finito? Prenderò il 3.

Futurama st.8. Sempre meglio. Alla faccia della Fox che l’aveva sospeso alla quarta stagione. Applausi e massima stima ai creatori Groening e Cohen che l’hanno voluto fermamente riprendere, prima in forma di una manciata di film poi di nuovo come serie, nonostante gli ascolti imparagonabili a quelli dei Simpson e il network che lo riteneva un prodotto scadente (stupidi repubblicani…). Essere plurimiliardari per aver creato la famiglia gialla più famosa del mondo e voler comunque creare un cartone ancora più perfetto, andando contro quella potentissima multinazionale che è il finanziatore che ti ha arricchito… non è commovente?

The Dome. Ho passato la mia adolescenza letteraria in compagnia di Barker e King, propendendo sempre un po’ di più per quest’ultimo. Del quale però non ho mai a fondo apprezzato i romanzi colossali da mille e rotte pagine (ebbene no, IT non lo porterei mai su un’isola deserta). Ci voleva The Dome a farmi cambiare idea. Non si tratta di virtuosismo da letteratura di genere (perché gestire una 20ina di personaggi lungo mille pagine fornendo loro moventi e passato sempre credibili e incastrare perfettamente le loro vicende circoscritte in un’area di una manciata di kilometri quadri in una manciata di giorni non è cosa da tutti), non si tratta di idee brillanti e, per quanto possibile nel 21° secolo, originali (anche se all’apparenza non sembrerebbe… anch’io ho pensato al film dei Simpson guardando la copertina > cittadina imprigionata sotto una cupola trasparente), non si tratta di scrittura al passo coi tempi, felicemente ancorata all’attualità per forma e contenuti. Non solo. Si tratta di concetti. Tra alti e bassi King ha sempre sviscerato concetti interessanti, spesso passando dalla pseudo autobiografia (il suo capolavoro, Misery, è il romanzo metalinguistico per antonomasia, astutamente camuffato da eccezionale thriller. Che è poi il metalinguismo perfetto). Alcuni di questi -concetti- ti entrano sotto pelle. Come quello di The Dome. King non rinuncia a una spiegazione finale. Sa benissimo che dopo mille pagine e mille ipotesi elaborate e dai suoi personaggi e dai suoi lettori, qualunque spiegazione a un fatto misterioso e soprannaturale risulta deludente. Ciononostante non ci rinuncia. Perché ha le palle. Troppo facile lasciare tutto in sospeso o alla libera interpretazione del lettore. Ora come ora sono operazioni fuori tempo massimo. E King è attualissimo. È il perché che sta dietro alla spiegazione a colpirti. Quello che ti entra sotto pelle. Che è quanto di più terribilmente umano si possa immaginare.

Neonomicon. Ogni volta che leggo un Alan Moore non capisco se il mio è fanatismo settario o oggettivo apprezzamento fumettistico. Le opere di Moore riescono ad appagare contemporaneamente il lettore e il critico che c’è in me. Passione e tecnica, insomma. Solo i grandi autori ce le hanno nelle giuste dosi. Ennesima opera ispirata a Lovecraft, il Neonomicon di Moore (geniale fin dal titolo, che scimmiotta e “aggiorna” il nome del leggendario e inesistente Necronomicon, il libro dei morti inventato da Lovecraft) individua e sviscera il cuore pulsante dell’opera omnia dello scrittore, ovvero la rappresentazione dell’Orrore e, in senso più definitivo, del Male. E lo fa nei due modi possibili: nella prima parte assistiamo alla rappresentazione soggettiva dell’Orrore, nella seconda via libera a quella oggettiva. Lovecraft non ha mai rappresentato il suo Orrore, i leggendari Antichi, quelle cattivissime divinità che in passato governavano la Terra e ora sono pronte a riprendersi il trono da un momento all’altro. Non ha mai descritto frontalmente queste creature, lasciando spazio alla suggestione e alle atmosfere. E Moore, che quando approfondisce un autore lo fa ridefinendo il concetto umano di “documentazione” (vedi “From Hell”), questa cosa l’ha capita tanto quanto conosce il media fumetto. Che è fatto e di immagini e di parole. Rappresentazione oggettiva e rappresentazione soggettiva.

Settimana prossima i Brutti!

6 commenti:

Anonimo ha detto...

La devo bacchettare...Cancro ai polmoni per il povero WW...

eMa

Manu ha detto...

d'accordo più o meno su tutto! Mi hai fatto venir voglia di leggere il libro di King!!!!!!!
ps: la sottolineatura su Fring forse è un po' un piccolo spoiler! :\

Manu ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Unknown ha detto...

eMa: beccato! potrei cavarmela con uno scontatissimo "volevo vedere se eravate attenti" e invece lascierò l'errore in segno di umile rispetto verso la Sua puntualissima osservazione.

Manu: The Dome è un bell'investimento di tempo, ma ne vale la pena! dopo le prime 300 pagine è tutta discesa ;)
PS sì, è un pò spoileroso. ma amgari uno non si ricorda il nome...

CREPASCOLO ha detto...

Michel Houellebecq , l'autore de Le Particelle Elementari da cui è stato tratto un film, ha scritto un saggio sul picchiatello di Providence in cui ipotizza che H. P. Lovecraft vedesse nei suoi mostriciattoli minacciosi ed informi gli afroamericani nerboruti in cui gli era capitato di imbattersi nelle sue rare sortite fuori dal suo home. Warren Ellis - in occasione del team up tra Autorithy e Planetary ( matite cesellate di Phil Jimenez ndr ) ci mostra un HPL tutto contento perchè crede di aver trovato rarissime " uova di negro ".

Gino Paoli ha detto + di una volta che il Cielo in una Stanza è nato dopo l'incontro con una mercenaria professionista della interazione prossemica ( non come reazione al tentato, romantico, suicidio per la separazione con la Sandrelli sr ).
A volte il movente scatenante è una robina senza spessore o addirittura da nascondere sotto il tappeto quando arriva un ospite all'impriovviso.
Un sassolino che ruzzola ed alla fine pialla la strada fino a valle...

Unknown ha detto...

crepascolo: Ancient Ones = Niggaz.
Non fa una piega, in effetti.